Una stella a cinque punte

 

Daniele Biacchessi

Baldini Castoldi Dalai 2007

Una stella a cinque punte si basa su fatti, testimonianze, documenti giudiziari.

Storie così importanti non si possono narrare attraverso fiction, teoremi, tesi prestabilite.

Riassume sei anni di lavoro, per me iniziati la mattina del 20 maggio 1999, in via Salaria, a Roma.

Il giorno in cui le Brigate Rosse riappaiono dal buio del labirinto degli anni di piombo e uccidono il professor Massimo D’Antona.

Tre libri, decine di articoli e analisi apparsi sul Il Sole 24ore, lo stesso quotidiano che pubblica gli editoriali di Marco Biagi.

E ancora servizi, interviste, approfondimenti, numerosi speciali e puntate del programma Giallo e Nero trasmessi da Radio24-Il Sole 24ore.

Una stella a cinque punte è tragedia contemporanea, cronaca, analisi dei dati oggettivi, soprattutto racconto.

Per la prima volta, parlano in un libro i poliziotti impegnati nella lotta al terrorismo, quelli che hanno assicurato alla giustizia i responsabili degli omicidi di Massimo D’Antona, Marco Biagi, Emanuele Petri.

In queste pagine, sono contenute le testimonianze inedite di Carlo De Stefano, direttore della Polizia di Prevenzione, Franco Gabrielli, direttore del SISDE, il servizio segreto civile, gia’ capo del Servizio Centrale Antiterrorismo, Eugenio Spina, dirigente della Polizia di Prevenzione, Vittorio Rizzi, capo della Squadra Mobile di Milano, già alla guida del Gruppo Investigativo Biagi.

Riferiscono intuizioni, piste investigative, tecniche utilizzate da agenti semplici e funzionari sconosciuti al grande pubblico.

Ricostruiscono minuziosamente gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, fornendo notizie mai divulgate in precedenza.

Olga di Serio e Marina Orlandi, mogli di Massimo D’Antona e Marco Biagi, hanno fornito preziosi suggerimenti, perfino minuscoli particolari, e alla fine hanno approvato il mio lavoro.

A loro va tutto il mio affetto.

Più volte ci dicono che bisogna voltare pagina, chiudere la stagione del terrorismo politico, gli anni in cui sogni e utopie si sono infranti nel sangue e nella violenza.

Sì, va bene.

Ma almeno bisogna leggere quella pagina, in modo attento, fino all’ultima riga.

Soprattutto per consegnare la storia alle nuove generazioni.

Febbraio 2006.

A Massimo D’Antona, Marco Biagi, Emanuele Petri.

Per non dimenticare.

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Gian Paolo Serino, La Repubblica.

“Daniele Biacchessi racconta un’Italia che sembra ormai vivere in una perenne ri(e)mozione forzata. Con la voce e la potenza di uno scrittore che è l’unico erede della narrativa civile di Pier Paolo Pasolini.”

Bruno Ventavola, La Stampa.

“Non gli servono effetti speciali. Bastano la sua voce e la musica di un paio di amici. Perché è la storia d’Italia, quella più fosca, più scomoda, più vergognosa, ad accapponare la pelle del pubblico.”

Lionello Mancini, Il Sole 24ore.

“Le pièce teatrali d’impegno civile di Biacchessi vorrebbero essere un contributo a scostare le ante del Paese da quel muro che ne impedisce l’apertura «perché – riflette l’autore – una società che non può fare i conti col passato, non comprende il proprio presente e non può progettare il futuro.”

Diego Carmignani, Terra.

“Il suo stile comunicativo usa moduli differenti, spaziando tra musica e teatro. Quanto ai contenuti, resta coerente con l’idea che linguaggi diversi possano rendere più efficace la ricostruzione e la denuncia delle tante malefatte italiane. In nome di una verità che dovrebbe coincidere con la giustizia.”

L’Eco di Bergamo.

“La parola di Daniele Biacchessi è netta. Intagliata in una voce pastosa e un filo affannata, perfetta per la radio, ma non priva di efficacia in scena.“

Maddalena Tuffarulo, Tabloid.

“La sua vitalità artistica è un continuo fluire tra teatro e musica. Due mondi paralleli e di medesima estensione della sau poliedrica identità che da sempre corre su tre binari: ricerca della verità, memoria e identità, ovvero le persone al centro dei racconti“

Andrea Liparoto, Anpi.it

“Daniele, allora, porta in giro per l’Italia il suo racconto con un tenace piglio da fresco cantastorie della memoria che attira e tira verso promettentissime prospettive di rigenerazione. Scrive all’inizio del libro “Orazione civile per la Resistenza: “Dedico questo libro agli studenti che nei teatri e negli auditorium sono venuti in camerino a cercare da me spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici… A quanti in silenzio hanno ascoltato le mie narrazioni”. Gli studenti, i ragazzi.“

Davide Turrini, Il Fatto Quotidiano.

“Storia, e orazione, intessute prima di tutto dai luoghi delle stragi (da Boves in Piemonte all’Hotel Meina sul Lago Maggiore, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema fino alle Fosse Ardeatine), poi di date e di cifre di morte. Numeri disegnati col sangue di partigiani e semplici civili, donne, vecchi e bambini, condannati a morte da un esercito invasore che in un triennio esercitò un’inaudita violenza cancellando dalla faccia della terra l’essenza stessa del senso dell’esistenza umana.“

Mario Avagliano, storico.

“Biacchessi è curioso, un cercatore di verità. Da buon cronista, si era sempre chiesto chi fosse il fascista con le mani dietro la nuca , trascinato per le strade di Milano da alcuni partigiani armati, ritratto nella fotografia sulla copertina del saggio “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa. Nella didascalia del libro di Pansa, in seconda di copertina, si parla genericamente di “fascista ucciso il 28 aprile 1945”. Biacchessi non si è accontentato. Così è andato negli archivi e si è messo alla ricerca di questa immagine. Scartabella che scartabella, eureka!, l’ha trovata. Ed ha scoperto che si trattava di Carlo Barzaghi, l’autista di Franco Colombo, il comandante della legione autonoma mobile Ettore Muti di Milano. Barzaghi non è quindi un fascista qualsiasi, un innocente ucciso nei giorni dell’aprile 1945. È un esponente di spicco della Repubblica di Salò e si è macchiato di vari reati.“

Laura Tussi, Peacelink.

“Biacchessi dedica l’Orazione Civile per la Resistenza ai giovani che ha incontrato al termine dei suoi spettacoli di teatro civile. A tutti i giovani che gli hanno fatto perdere treni per soddisfare domande, dubbi e che hanno implicitamente o anche involontariamente, suggerito idee, richiesto spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici e che hanno ascoltato in silenzio le narrazioni.”