TEATRO CIVILE. Nei luoghi della narrazione e dell’inchiesta.

 

Daniele Biacchessi

Verdenero 2010

 

 

Cosa racconta uno spettacolo di teatro civile?
 Di certo uno spettacolo di teatro civile non rivela i nomi degli autori degli eccidi nazifascisti, avvenuti in Italia tra il 1943 e il 1945 e occultati nel cosiddetto armadio della vergogna, né punisce i mandanti delle stragi della strategia della tensione, e neppure svela i nomi dei beneficiari politici che si celano dietro gli omicidi di mafia e terrorismo.
Uno spettacolo di teatro civile non risolve i conflitti macro-economici e geopolitici che stanno alla base di tutte le guerre del mondo. Non migliora le condizioni di salute dei lavoratori, né contribuisce a ridurre i danni causati dall’uomo all’ambiente.
Non offre nuova vita agli operai uccisi alla Thyssenkrupp, a quelli morti al Petrolchimico di Porto Marghera, all’ILVA di Taranto, negli stabilimenti della Stoppani di Genova, della Montedison di Massa, Gela e Manfredonia.
Non risarcisce i lavoratori colpiti da tumori causati dall’esposizione alle fibre di amianto, dopo anni di servizio agli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato, Bagnoli, Siracusa, alle miniere di Emarese e Balangiero, alla Fibronit di Broni.
Nemmeno stabilisce con certezza i danni subiti dai cittadini brianzoli contaminati dalla diossina fuoriuscita all’Icmesa tra Meda e Seveso.
Non impone allo Stato la tutela e la sicurezza nelle fabbriche, neppure incrimina e condanna i responsabili delle morti e degli infortuni sul lavoro.
Uno spettacolo di teatro civile racconta storie vere, spesso dimenticate, crea collegamenti tra passato e presente, costruisce ponti di memoria viva tra generazioni.
Attraverso la drammaturgia, la tecnica della narrazione, l’utilizzo del corpo e della voce, l’ausilio di vecchie e nuove testimonianze scritte e orali, documenti giudiziari e giornalistici, smuove le coscienze, suscita emozioni, provoca rabbia, indignazione, dunque consapevolezza. Nulla di più. Del resto, non è normale il paese che consegna ai narratori il peso della sua memoria nazionale, che dovrebbe essere collettiva, e perciò di tutti.
Ma un narratore può chiedere giustizia anche sopra il palco di un teatro, una piazza, una strada: un microfono, un sassofono, un pianoforte, le chitarre, le immagini in movimento, i documenti sonori d’archivio, o attraverso la sola voce, le espressioni del volto, i movimenti del corpo.
Un narratore può fare memoria sopra una pedana nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna e davanti alla chiesetta di Sant’Anna di Stazzema, al Museo di via Tasso come sulla diga del Vajont, a Sebrenica e a Marzabotto.
Perché i luoghi contano, perché nulla vada mai dimenticato.

Vuoi continuare la lettura?

Acquista in sicurezza con Paypal ed effettua il download!

Vai al prodotto

Gian Paolo Serino, La Repubblica.

“Daniele Biacchessi racconta un’Italia che sembra ormai vivere in una perenne ri(e)mozione forzata. Con la voce e la potenza di uno scrittore che è l’unico erede della narrativa civile di Pier Paolo Pasolini.”

Bruno Ventavola, La Stampa.

“Non gli servono effetti speciali. Bastano la sua voce e la musica di un paio di amici. Perché è la storia d’Italia, quella più fosca, più scomoda, più vergognosa, ad accapponare la pelle del pubblico.”

Lionello Mancini, Il Sole 24ore.

“Le pièce teatrali d’impegno civile di Biacchessi vorrebbero essere un contributo a scostare le ante del Paese da quel muro che ne impedisce l’apertura «perché – riflette l’autore – una società che non può fare i conti col passato, non comprende il proprio presente e non può progettare il futuro.”

Diego Carmignani, Terra.

“Il suo stile comunicativo usa moduli differenti, spaziando tra musica e teatro. Quanto ai contenuti, resta coerente con l’idea che linguaggi diversi possano rendere più efficace la ricostruzione e la denuncia delle tante malefatte italiane. In nome di una verità che dovrebbe coincidere con la giustizia.”

L’Eco di Bergamo.

“La parola di Daniele Biacchessi è netta. Intagliata in una voce pastosa e un filo affannata, perfetta per la radio, ma non priva di efficacia in scena.“

Maddalena Tuffarulo, Tabloid.

“La sua vitalità artistica è un continuo fluire tra teatro e musica. Due mondi paralleli e di medesima estensione della sau poliedrica identità che da sempre corre su tre binari: ricerca della verità, memoria e identità, ovvero le persone al centro dei racconti“

Andrea Liparoto, Anpi.it

“Daniele, allora, porta in giro per l’Italia il suo racconto con un tenace piglio da fresco cantastorie della memoria che attira e tira verso promettentissime prospettive di rigenerazione. Scrive all’inizio del libro “Orazione civile per la Resistenza: “Dedico questo libro agli studenti che nei teatri e negli auditorium sono venuti in camerino a cercare da me spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici… A quanti in silenzio hanno ascoltato le mie narrazioni”. Gli studenti, i ragazzi.“

Davide Turrini, Il Fatto Quotidiano.

“Storia, e orazione, intessute prima di tutto dai luoghi delle stragi (da Boves in Piemonte all’Hotel Meina sul Lago Maggiore, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema fino alle Fosse Ardeatine), poi di date e di cifre di morte. Numeri disegnati col sangue di partigiani e semplici civili, donne, vecchi e bambini, condannati a morte da un esercito invasore che in un triennio esercitò un’inaudita violenza cancellando dalla faccia della terra l’essenza stessa del senso dell’esistenza umana.“

Mario Avagliano, storico.

“Biacchessi è curioso, un cercatore di verità. Da buon cronista, si era sempre chiesto chi fosse il fascista con le mani dietro la nuca , trascinato per le strade di Milano da alcuni partigiani armati, ritratto nella fotografia sulla copertina del saggio “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa. Nella didascalia del libro di Pansa, in seconda di copertina, si parla genericamente di “fascista ucciso il 28 aprile 1945”. Biacchessi non si è accontentato. Così è andato negli archivi e si è messo alla ricerca di questa immagine. Scartabella che scartabella, eureka!, l’ha trovata. Ed ha scoperto che si trattava di Carlo Barzaghi, l’autista di Franco Colombo, il comandante della legione autonoma mobile Ettore Muti di Milano. Barzaghi non è quindi un fascista qualsiasi, un innocente ucciso nei giorni dell’aprile 1945. È un esponente di spicco della Repubblica di Salò e si è macchiato di vari reati.“

Laura Tussi, Peacelink.

“Biacchessi dedica l’Orazione Civile per la Resistenza ai giovani che ha incontrato al termine dei suoi spettacoli di teatro civile. A tutti i giovani che gli hanno fatto perdere treni per soddisfare domande, dubbi e che hanno implicitamente o anche involontariamente, suggerito idee, richiesto spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici e che hanno ascoltato in silenzio le narrazioni.”