Enzo Tortora, dalle luci del successo al buio del labirinto.

Daniele Biacchessi

Aliberti, 2013

 

Prefazione

L’intervista ritrovata
 Enzo Tortora, la tv e l’informazione spettacolo

Daniele Biacchessi, Intervista mai trascritta a Enzo Tortora su ruolo della tv e informazione spettacolo, Radio Regione Milano, Sold Out, 1983.

Enzo Tortora, la sua comunicazione trae ispirazione da una miscela di informazione e spettacolo. Come nasce questa formula vincente?

È una formula molto semplice. L’informazione contiene molto spesso elementi che vanno al di là della nuda enunciazione della notizia e possono diventare, come lei ha detto, anche spettacolo.

Sono elementi che diventano spettacolo perché rappresentano l’imprevisto e l’imprevedibile?

Sono tanti e diversi elementi che è assai difficile catalogare. Vorrei portare come esempio una tra- smissione che mi è molto cara, la Domenica sportiva. Il primo format lo elaborai io, certo non da solo perché da soli non si fa niente. A quel tempo, intorno a me lavorava una équipe straordinaria di colleghi della Rai, bravissimi professionisti. La domenica sportiva all’inizio era un frenetico bollettino di risultati. Era freddo, come il listino della borsa o l’orario delle ferrovie, non come l’elenco del telefono, dove dietro a certi nomi di vie o piazze si celano in realtà letteratura, storie di una città, veri e propri romanzi. Non potevo certamente inserire i sassofonisti o le girl perché altrimenti si arrabbiavano i tifosi. Io facevo La domenica sportiva, punto e basta, ma cercavo ovvia- mente di allargare le tipologie di pubblico. Oggi però non mi sognerei mai di riempire Portobello di notizie sportive. Tutto dipende dal programma che stai realizzando, dal tuo target che devi sempre tenere in considerazione.

Qualcuno la accusa di fare leva sul sentimento in tv.

Credo di non essere il solo imputato. Vorrei far presente che se lei dà un’occhiata generica alla pubblicistica italiana può trovare copertine oppure titoli a tutta pagina che sono più portobelliani di Portobello. Certamente nel programma c’è una rubrica come Dove sei? che fa appello al ricordo, alla memoria in diretta. Io capisco i miei critici e li ringrazio. Si può alcune volte seguire un certo tipo di patetismo. Via via con il tempo, fino a questa ultima edizione, abbiamo cercato di controllare tutte queste parti emotive ed emozionali che però non considero gravi, perché stanno nella coscienza popolare: nella gente ci sono momenti di ricordo, di nostalgia e, perché no, anche di commozione. Tutti i grandi film, le grandi storie possono contenere momenti strappalacrime.

Se facessi emergere solo quella componente sarebbe giusto criticarmi per aver portato in tv il lacrimificio, ma Portobello è stato ed è anche altro.

Questa formula di informazione-spettacolo ha nuove possibilità di sviluppo nel nostro Paese come in America?

Io credo di sì, anche se io vengo da Genova, non dall’America, e non sono mai stato uno della Cia [ride]. Ai tempi della Domenica sportiva non si parlava ancora di colonizzazione americana. In Italia il pubblico ha certamente apprezzato il format. Invece gli addetti ai lavori lo hanno compreso e accettato con grande fatica, perché hanno ancora una visione un po’ corporativa del giornalismo e lo considerano un sacro confine invalicabile. A me farebbe piacere se anche in altre par- ti del mondo, come in Cina e in Spagna, non solo in America, si raccontassero storie in tv unendo notizie e spettacolo. Perché penso che alla fine l’uomo non sia molto diverso uno dall’altro. Magari sono differenti le interpretazioni, i costumi, i comportamenti, ma le storie restano simili.

Cosa differenzia il suo modo di condurre in tv da Pippo Baudo e Mike Bongiorno? Ci sono state polemiche nel passato?

Non ho mai avuto polemiche con questi col- leghi. Forse sono state riportate frasi inesatte da certi giornali che fanno del portobellismo. Mike Bongiorno segue la linea del quiz da tanti anni, e la ritengo più valida. Pippo Baudo mischia pure lui egregiamente notizie e spettacolo. Io, Anna Tortora e Angelo Citterio abbiamo inaugurato nel 1977 una linea che rompeva un po’ quel cliché, superava il monopolio del gettone d’oro, della busta di riserva. Vedo con piacere che Portobello ha fatto molti figli, molte trasmissioni si sono portobellizzate nel frattempo. Abbiamo tanti figli, alcuni anche scemi, ma è il destino di tutti i genitori. Ci sono trasmissioni che sono truccate malamente da Portobello che si chiamano in altro modo. Se l’hanno fatto, cosa che ci fa comunque piacere, vuole dire che la nostra linea editoriale non era poi così sbagliata. Sa, ogni presentatore ha i suoi gusti, il suo carattere, il suo modo di concepire il mezzo televisivo, le sue abitudini. Dietro alla mia informazione ci sono le persone, con le loro storie, i problemi, le speranze, i sogni. Penso sia giusto così.

Lei ha portato poi l’informazione e lo spettacolo anche su Rete4 con Cipria. Come nasce questa idea?

Mi sono domandato: cosa non fa la televisio- ne di Stato? È inutile inseguire la Rai scopiazzando impropriamente format identici. La Rai li realizza molto meglio delle private, possiede più mezzi. Però esistono ad esempio notizie rosa che vanno a ruba nelle edicole e che la Rai non manda in onda forse per motivi di austerità, secondo me assolutamente malintesa. A Cipria ad esempio ho sperimentato, credo con successo, un diverso approccio alla politica e ai politici. Per la prima volta si mettono a nudo. Si è arrabbiato Jader Jacobelli, conduttore di Tribuna politica, si sono arrabbiati i santoni dell’informazione, ma si è divertito tantissimo il pubblico. Io lavoro per la gente, dico la verità.

A Cipria lei è riuscito in una impresa ardua: far cantare i politici per la prima volta…

No, non è stato difficile far cantare i politici. Certe volte sono più sciocchi i portavoce degli uomini politici. Quello zelo con cui le mosche cocchiere difendono l’intangibilità dei politici nuoce allo stesso politico che una volta avvicinato si rivela persona molto più di spirito di quello che non sono i loro portaborse. In Italia però è possibile corrompere tutti, tranne un pappagallo. È una cosa che dovrebbe farci meditare.

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Gian Paolo Serino, La Repubblica.

“Daniele Biacchessi racconta un’Italia che sembra ormai vivere in una perenne ri(e)mozione forzata. Con la voce e la potenza di uno scrittore che è l’unico erede della narrativa civile di Pier Paolo Pasolini.”

Bruno Ventavola, La Stampa.

“Non gli servono effetti speciali. Bastano la sua voce e la musica di un paio di amici. Perché è la storia d’Italia, quella più fosca, più scomoda, più vergognosa, ad accapponare la pelle del pubblico.”

Lionello Mancini, Il Sole 24ore.

“Le pièce teatrali d’impegno civile di Biacchessi vorrebbero essere un contributo a scostare le ante del Paese da quel muro che ne impedisce l’apertura «perché – riflette l’autore – una società che non può fare i conti col passato, non comprende il proprio presente e non può progettare il futuro.”

Diego Carmignani, Terra.

“Il suo stile comunicativo usa moduli differenti, spaziando tra musica e teatro. Quanto ai contenuti, resta coerente con l’idea che linguaggi diversi possano rendere più efficace la ricostruzione e la denuncia delle tante malefatte italiane. In nome di una verità che dovrebbe coincidere con la giustizia.”

L’Eco di Bergamo.

“La parola di Daniele Biacchessi è netta. Intagliata in una voce pastosa e un filo affannata, perfetta per la radio, ma non priva di efficacia in scena.“

Maddalena Tuffarulo, Tabloid.

“La sua vitalità artistica è un continuo fluire tra teatro e musica. Due mondi paralleli e di medesima estensione della sau poliedrica identità che da sempre corre su tre binari: ricerca della verità, memoria e identità, ovvero le persone al centro dei racconti“

Andrea Liparoto, Anpi.it

“Daniele, allora, porta in giro per l’Italia il suo racconto con un tenace piglio da fresco cantastorie della memoria che attira e tira verso promettentissime prospettive di rigenerazione. Scrive all’inizio del libro “Orazione civile per la Resistenza: “Dedico questo libro agli studenti che nei teatri e negli auditorium sono venuti in camerino a cercare da me spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici… A quanti in silenzio hanno ascoltato le mie narrazioni”. Gli studenti, i ragazzi.“

Davide Turrini, Il Fatto Quotidiano.

“Storia, e orazione, intessute prima di tutto dai luoghi delle stragi (da Boves in Piemonte all’Hotel Meina sul Lago Maggiore, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema fino alle Fosse Ardeatine), poi di date e di cifre di morte. Numeri disegnati col sangue di partigiani e semplici civili, donne, vecchi e bambini, condannati a morte da un esercito invasore che in un triennio esercitò un’inaudita violenza cancellando dalla faccia della terra l’essenza stessa del senso dell’esistenza umana.“

Mario Avagliano, storico.

“Biacchessi è curioso, un cercatore di verità. Da buon cronista, si era sempre chiesto chi fosse il fascista con le mani dietro la nuca , trascinato per le strade di Milano da alcuni partigiani armati, ritratto nella fotografia sulla copertina del saggio “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa. Nella didascalia del libro di Pansa, in seconda di copertina, si parla genericamente di “fascista ucciso il 28 aprile 1945”. Biacchessi non si è accontentato. Così è andato negli archivi e si è messo alla ricerca di questa immagine. Scartabella che scartabella, eureka!, l’ha trovata. Ed ha scoperto che si trattava di Carlo Barzaghi, l’autista di Franco Colombo, il comandante della legione autonoma mobile Ettore Muti di Milano. Barzaghi non è quindi un fascista qualsiasi, un innocente ucciso nei giorni dell’aprile 1945. È un esponente di spicco della Repubblica di Salò e si è macchiato di vari reati.“

Laura Tussi, Peacelink.

“Biacchessi dedica l’Orazione Civile per la Resistenza ai giovani che ha incontrato al termine dei suoi spettacoli di teatro civile. A tutti i giovani che gli hanno fatto perdere treni per soddisfare domande, dubbi e che hanno implicitamente o anche involontariamente, suggerito idee, richiesto spiegazioni, percorsi bibliografici e informatici e che hanno ascoltato in silenzio le narrazioni.”