DANIELE BIACCHESSI
BALDINI&CASTOLDI 1995
Nel luglio 1976,una nube si formò nel cielo di Seveso. Non era una delle solite nubi che preannunciano temporali d’estate.Portava veleno e lo spargeva in mezza Lombardia. C’era diossina,la più potente delle sostanze venefiche esistenti nella chimica. Fin dalle prime settimane ci fu chi, abbracciando la tesi dell’incidente, si prodigò alla minimizzazione. Dicevano che non era successo nulla di grave. Qualcuno si spingeva più in là. Scriveva che la diossina forse non era neppure velenosa. Spesso, gli ottimisti e i contrari a ogni allarmismo erano proprio tra coloro che detenevano le leve del potere,nazionale e locale. Altri avvertirono che quella nube poteva essere foriera di catastrofe. Si determinò così un clima di confusione e di incertezza,nel quale le informazioni filtravano a fatica,si contraddicevano. Il libro “La fabbrica dei profumi”, (Baldini Castoldi Dalai, 1995), analizza la dinamica dell’incidente, i racconti degli abitanti, le verità negate per anni, rimaste nei cassetti degli archivi della Regione Lombardia. Non solo. Porta nuovi particolari:il ruolo dei servizi segreti italiani, francesi e belgi, l’assoluta negligenza delle autorità locali, il viaggio dei fusti di diossina finiti probabilmente nella discarica di Schoemberg,nella ex Rdt, la quantità di veleno che risulta essere più alta di quanto ammesso ufficialmente dalla Hofmann La Roche,proprietaria dell’Icmesa di Seveso. L’ho chiamato un crimine di pace. Quello di Seveso non era stato affatto un incidente, non prevenibile e non prevedibile. A Seveso é stato provocato un disastro ambientale. Il dolo é stato accertato dalla sentenza del Tribunale di monza. la popolazione é stata esposta a conseguenze negative come cloracne e aborti spontanei. Altri problemi ben più gravi sono ancora in corso di accertamento. Tra gli effetti non qualificabili vanno considerati quelli dovuti alle cause:la popolazione é stata gettata in un clima di confusione ed incertezza. Si è scatenata la paura, si sono messi in moto processi di rimozione per soffocare le passioni. Ed é vero che a Seveso gli effetti acuti non hanno dimensione di una tragedia. Per esplosioni simili a Bhopal morirono migliaia di persone, a Chernobyl si continua a morire e, secondo un rapporto tenuto per anni segreto, saranno milioni le persone che perderanno la vita a causa delle radiazioni nucleari del reattore russo. Sarebbe errato giudicare la gravità dell’evento dai suoi effetti immediati ed evidenti. In realtà posso affermare che si é trattato di una fortuna nella sciagura. Ci si poteva aspettare di peggio. Proprio per questo, il pessimismo iniziale non andava affatto considerato “ingiustificato allarmismo” ma un atteggiamento scientificamente corretto. Nulla autorizza a scartare l’ipotesi che incidenti come quello di Seveso, accaduti in tutto il mondo, si caratterizzino per la scarsità di effetti acuti e per la gravità di quelli cronici a lungo termine. Così la potenza devastante della diossina andrebbe giudicata non dal numero esiguo di persone colpite da cloracne ma dalle centinaia di uomini e donne che potrebbero essere stati contaminati in modo irreparabile, fatto che sarà possibile valutare solo tra qualche anno. Chi ha voluto chiudere in fretta l’affare dell’Icmesa di Seveso trascura la mia ipotesi che poi é quella di tanti giornalisti e scienziati che si sono occupati del caso. Quelli che ho chiamato i giorni del silenzio hanno reso difficile, forse perfino impossibile stabilire un nesso causale tra l’azione criminosa e le sue conseguenze materiali. Chi operò depistando e soffocando ogni verità, si fece complice e autore di quella tragedia. Coprì le tracce, operando contro l’umanità e la scienza: apparati dello Stato, ministri, autorità locali,politici di Governo. Nomi vecchi e nuovi lavorarono per evitare che la popolazione venisse a conoscenza della verità. La fabbrica dei profumi era l’Icmesa. Così la chiamavano gli abitanti di Seveso: faceva prodotti aromatizzati, profumi, almeno ufficialmente. Dopo ciò che avvenne nel luglio del ’76, la definizione assume connotati di amara ironia. Il libro vuole ricordare come una tragedia si può trasformare in un’esperienza importante per una comunità, da cui trarre conclusioni di carattere internazionale. Non una vicenda locale. Anzi, un monito per chi intende produrre senza tener conto dell’ambiente e dell’uomo, a Seveso come a Bhopal, in Val Bormida come a Cesano Maderno. Un monito per le autorità che privilegiarono la logica economica sopra ogni altra: non solo nel senso di misurare stanziamenti e incarichi, ma anche nella gestione degli interventi allo scopo di non turbare l’assetto della zona. Non era la salute a dover essere considerata. Per il governo prima venivano le diverse attività economiche. Non va dimenticato che a prevalere sulla considerazione della salute furono la parola governabilità e il perseguimento degli equilibri politici. In molte circostanze, così come quasi in tutto il mondo, si preferì glissare sulla gravità e sulle possibili conseguenze dell’evento, piuttosto che rischiare di far esplodere la crisi delle istituzioni regionali. L’atteggiamento depistante non poteva che incidere sulle misure concrete da prendere nell’immediato. Così gli effetti acuti furono affrontati in ritardo e determinarono due conseguenze:compromettere ulteriormente la credibilità dell’intervento dei tecnici e danneggiare la successiva ricerca sugli effetti cronici. Il libro affronta il dibattito sulla possibilità che a Seveso si producessero armi chimiche. Dalle testimonianze riportate posso trarre un’ipotesi,confermata dalla relazione della Commissione regionale d’inchiesta. All’Icmesa si produceva triclorofenolo altamente diossinato. La Tcdd, o diossina di Seveso, ha proprietà teratogene e cancerogene, non poteva servire per ciò che la Givaudan diceva di produrre,disinfettanti ospedalieri e cosmetici. Il prodotto impuro era assemblato all’Icmesa ma venduto in Svizzera, poi girato a Vernier e negli Stati Uniti dove, con molte probabilità, veniva miscelato con altri composti chimici fino a farlo divenire il micidiale Agent Orange. Il prodotto aveva un nome:Weedonet ovvero 2.4.5.T. La seconda commissione d’inchiesta della Regione Lombardia é arrivata a questa conclusione. Rimangono ancora molti interrogativi. “La fabbrica dei profumi” è un libro contro i crimini ambientali. Storie di uomini,donne e bambini, di avvocati che hanno speso parte della loro vita per una giusta causa, di magistrati caparbi, di scienziati rimasti purtroppo inascoltati. Storie di persone, raccontate per non dimenticare.